Marius L. – 23.11.2025. Bhagavan Baba. Compagno e Avatar.


Com’è il ricordo di un Essere Infinito, eterno, che, al di là della forma, che rimarrà per millenni e millenni nell’immaginario collettivo, sarà vivo in migliaia di modi, nell’Astrale vicino e lontano, nel Causale, e nei pressi della Sorgente?
Lasciare la forma per un Essere di tale potere, mentre potrà essere un dolore per centinaia di milioni che ne lamenteranno sicuramente la mancanza, potrà anche essere un modo per lavorare meglio e in maniera più estesa, atteso che la manifestazione è soprattutto astrale, mentre tutte le grandi lotte, le guerre più spietate, i combattimenti per soggiogare anime e coscienze, è proprio in astrale che nella loro quasi totalità tenderanno a svolgersi.
Qualche settimana fa, ho sognato Baba. Mi mostrava il Suo Maha-Samadhi, affermando che molti l’avevano relegato “lì”,
Dopodiché mi diceva che ero un suo compagno, e così diceva anche della mia partner, Neel.
“Compagno” è legato al concetto di "dividere il pane" con qualcun altro.
Forse, è tra le più alte forme di condivisione, e in tal senso, un appellativo di grande onore.
Essere compagni è essere uniti, per la vita e oltre. Avere in comune idee e ideali. Gli stessi spazi, anche.
Quindi, lavorare all’unisono.
Al di là di ogni tipo di illusione, anche relativamente alla stessa costruzione dei sogni, e delle vicissitudini di ciò che lì, in quell’area (l’astrale), si partecipa, il termine è stato per me di grande impatto.
C’è chi in Dio/Maestro/Fonte, cerca il padre, chi il leader, chi il guru, chi la madre, chi l’amico, e chi il compagno d’avventure, pur tra le onde dell’illusione.
Ovviamente in me personalmente, l’elemento sconta il coinvolgimento emozionale per l’altra illusione vissuta in questa esistenza, legata ai compagni di Francesco d’Assisi.
In ogni caso, è innegabile che la condivisione con questo tipo di esseri, il lavorare insieme, l’aiutarsi a vicenda, ha qualcosa di sbalorditivo. Perché, anche se noi andiamo dal Maestro/Dio/Fonte a chiedere, chiedere e chiedere, sempre e ancora, anche il Maestro, nel lavoro che si è prefisso di svolgere, ha un enorme bisogno di aiuto, energie, potere e disponibilità. Come farebbe le cose, se no?
E non si tratta solo di questo. Perché quel tipo di condivisione, nella grazia estrema, va di gran lunga oltre, diritta verso l’unione, fino al diventare una cosa sola, un unico pensiero, un’unica idea, un’unica volontà.
E non è necessario che si romanzino rapporti e vicissitudini. Perché si può essere compagni anche da lontani, vivendo vite apparentemente diverse, e personali.
In questo senso, ma anche in molti altri, essere compagni diviene una forma di rapporto estremamente intima, pur preservando ciascuno la propria specificità e singolarità.
Perché alla fine, Baba è dove lo collochiamo noi, e con il ruolo che gli assegniamo.
Viene in mente la storia di quel devoto di Siva che ripeteva continuamente “Io sono Siva” (Sivo ham), ma quando gli chiesero se si considerava anche Parvati (Shakti di Siva), rispose che assolutamente no, non poteva ritenersi neanche lontanamente degno di essere simile alla Madre.
Se Dio è per noi irraggiungibile, essendo noi stessi creatori, essendo noi stessi la Sorgente, e quindi quello stesso Dio, così sarà per le nostre vite. E non faremo altro che camminare e camminare, sforzarci e tentare, al fine di raggiungerlo, senza riuscire mai nel nostro intento.
Ma se per noi Lui è lì, alla nostra portata, e se per noi essere Dio è “normale”, perché noi viviamo solo la “normalità”, e, quindi, solo ciò che lo è - allora la divinità non è neanche una meta di questa vita, ma la sua stessa intrinseca natura.
Così, auguri a noi, per questo tipo di intento, e Onore e Saluti al Compagno Baba.. Namasté.. Marius L.